Profitto
Profittabilità
In economia (profitto economico), indica il guadagno, o lucro, che si ottiene da un’attività economica (commerciale, finanziaria o produttiva) ovvero quando i ricavi contabilizzati (merci e servizi rivenduti) superano (profitto contabile) i costi totali contabilizzati dei fattori produttivi (profitto contabile) ovvero dalla differenza tra il ricavo totale sul prodotto ed il suo costo totale di produzione.
La differenza principale tra il profitto economico e profitto contabile è che il primo, preferito dagli economisti, si basa sul principio del costo opportunità tiene conto dei (costi impliciti e sacrificati) mentre il secondo viene regolamentato dai principi contabili nazionali regolamentati dal OIC (Organismo Italiano Contabilità) e/o dai principi contabili internazionali regolamentati da IFRS (International Financial Reporting Standards) e IAS (International Accounting Standards).
In microeconomia (curva di isoprofitto), si ha un profitto economico di un singolo bene quando il prezzo costo medio del prodotto è inferiore al prezzo ricavo del prodotto (o servizio) nel punto di BEP (Break Even Point), o ‟punto di quantità prodotta” (output), in cui risulta massimo il profitto perché il profitto economico risulta pari alla quantità prodotta moltiplicata per la differenza tra il costo medio ed il prezzo medio (margine medio unitario) quindi ogni unità di prodotto in più crea lo stesso aumento di costi e ricavi lasciando invariato il profitto che, essendo massimo, non può aumentare.
Nella teoria economica, in condizioni di concorrenza perfetta il profitto è massimo quando il ricavo marginale (indicatore economico che misura l’aumento del ricavo totale di un’azienda quando vende un’unità in più di un prodotto o servizio) uguaglia il costo marginale.
Mentre in regime di monopolio (forma di mercato in cui un’unica impresa produce o vende un bene o un servizio) o in regime di oligopolio (forma di mercato in cui sono presenti poche imprese che vendono un bene omogeneo), sempre nella teoria economica, garantiscono in media per tutti un ricavo e un profitto più alto di quello ottenibile con una guerra dei prezzo (pratica in cui i venditori cercano di competere tra loro abbassando i prezzi dei propri prodotti).
La guerra dei prezzi, molte volte, si concretizza nella formazione di cartelli economici (accordo tra più produttori, siano essi legali o illegali, indipendenti di un bene per porre in essere delle misure che tendono a limitare la concorrenza sul proprio mercato) che adoperano intese restrittive della concorrenza sanzionate dal diritto antitrust (insieme di norme che tutelano la concorrenza sul mercato, evitando comportamenti che possano danneggiare i consumatori).
Parallelamente al profitto economico (profitto eccezionale) esiste il profitto sociale e viene calcolato da quanto, positivamente o negativamente, impatta l’attività dell’impresa nel suo contesto sociale ma questo profitto sociale si determina dal profitto contabile conosciuto come profitto.
Nel caso in cui il profitto non è riconducibile ad una semplice operazione allora si parla di profittabilità ovvero l’ammontare di un investimento misurato come il tasso di profitto o ROI (‟Return On Investment” o ‟Tasso di ritorno dell’investimento”).
In ambito contabile abbiamo il profitto netto, prima del pagamento dell’IRES (Imposta sul REddito delle Società) e dell’IRAP (Imposta Regionale per le Attività Produttive), e si calcola sottraendo dal risultato delle vendite i costi (ad esempio stipendi, affitti, carburante, materiali grezzi, interessi sui prestiti e le svalutazioni) e il profitto lordo che coincide con il profitto prima degli interessi e delle svalutazioni (o rivalutazioni) delle attività e viene considerato come metrica (profitto economico) di un singolo periodo contabile (trimestre - quarter - o anno).
Una volta pagate l’IRES (Imposta sul REddito delle Società) e dell’IRAP (Imposta Regionale per le Attività Produttive) parliamo di profitto netto dopo le tasse (depurato dal costo opportunità e dal costo del rischio specifico del settore, fornisce un costo ponderato del capitale) ovvero di profitto (in ambito economico).
Dalla determinazione del profitto è possibile procedere a misurare (Risultato Operativo) il potere, che ha una impresa, di produrre profitti derivanti dalla gestione caratteristica (“core Business” o “attività principale”) e come valore è uguale agli utili prima della gestione finanziaria (attività che riguardano la pianificazione, il controllo e l'utilizzo delle risorse economiche di un'azienda), gestione patrimoniale (attività che riguardano la gestione individuale del capitale), della gestione straordinaria (attività di raccolta delle operazioni di carattere discontinuo che determinano componenti economiche non ricorrenti nella natura e nella frequenza di accadimento) e della gestione fiscale (attività delle operazioni che hanno come fine ultimo il rispetto degli adempimenti fiscali previsti per legge).
Mentre per quanto riguarda il contesto aziendale, il termine profitto può assumere le seguenti declinazioni:
- Profitto Anormale (extraprofitto): avviene in una particolare situazione di mercato (ad esempio una situazione di monopolio od oligopolio);
- Profitto Normale: avviene in una situazione di concorrenza (copre il costo opportunità dell’investimento in un’altra attività di mercato);
- Profitto Subnormale (perdita): è inferiore alla media del settore, nello specifico l'azienda:
- risulta in perdita: con un trend costante che porta al fallimento con la conseguente uscita dal suo mercato primario;
- modifica il proprio posizionamento: nel mercato di riferimento si individua una nicchia competitiva che potrebbe farle generare profitti normali;
- esce dal settore originario: quando si decide di entrare in un nuovo mercato perché risulta migliore alla propria struttura (conseguendo i profitti normali del nuovo settore).
Il Profitto Ottimale, in microeconomica, è un concetto univoco, quindi non universale, perché corrisponde al “giusto ammontare ottenibile” derivato dall’allocazione delle risorse, dalla strategia di marketing, dal posizionamento sul mercato (posizione di mercato) e di altri metodi per incrementare il ROI (‟Return On Investement” o ‟Redditività del capitale permanente”) che deve essere superiore al tasso medio del mercato competitivo (misure l'attrattività del settore), ad esempio:
- Vantaggio di costo (ad esempio costo del lavoro, costo di acquisizione delle materie prime);
- Elusione fiscale (ad esempio riduzione degli oneri tributari grazie a delocalizzazioni in paesi a differente carico fiscale);
- Innovazione di prodotto (conseguente monopolio di prodotto fin quando la concorrenza non porti a zero il gap)
- Innovazione di processo;
- Apertura a nuovi mercati.
Per quanto riguarda l’Apertura a nuovi mercati nel breve periodo, l’aumento medio del ROR (‟Rate of return” o ‟Profitto su un investimento” o ‟tasso di rendimento”) risulterà se l’impresa avrà una gestione il più ottimale possibile facendo risultare ‟meno efficienti” o ‟meno competitive” le aziende che già erano presenti nel nuovo mercato mentre nel lungo periodo si avrà una situazione inversa in cui le aziende usciranno per orientarsi in nuovi settori dove, a parità di fattori competitivi (quei fattori che attraggono gli investitori, i dipendenti e i fornitori perché danno loro fiducia nella capacità dell’azienda di soddisfare le loro necessità) e dopo una valutazione dei FCS (Fattori critici di sviluppo) risulta la possibilità di migliorare il proprio ROR (‟Rate of return” o ‟Profitto su un investimento” o ‟tasso di rendimento”)
Se vogliamo dare una definizione giuridico/economiche del termine profitto andrebbero prese in considerazione diverse norme partendo dal diritto penale al diritto civile fino al diritto tributario ed è per questo che, in linea generale, il termine profitto, da un punto di vista temporale (tutto il tempo che precede la sua nascita materiale), ha un rilievo autonomo rispetto alla proprietà perché indica ‟ogni entrata o vantaggio economico, che debba derivare ad un dato soggetto, in forza di un rapporto giuridico o di un fatto naturale o di un mero comportamento umano, che sia preso in considerazione prima del suo venire in essere”.
Per questo ogni bene, in corso di formazione (ad esempio, i prodotti della natura o come i guadagni di una società) o venuto ad esistenza, farà parte del diritto di proprietà; se il bene si troverà in fase di maturazione, avrà sempre un proprio rilievo autonomo, e lo si potrà distinguere dalla proprietà attraverso la nozione di profitto e per questo si parla, spesso di profitto bene futuro.
Il profitto bene futuro è oggetto delle facoltà contrattuali (art. 1348 c.c.), di trasferimento (art. 1472 c.c.) e tutelato dai mancati guadagni (art. 1223 c.c.) la cui essenza avrà una protezione giuridica e da una altrettanto precisa capacità di disporre delle entità non ancora esistenti (beni in costruzione).
Sulla base di questa definizione del profitto bene futuro è nota anche la dottrina giuridica che delinea la RSI (Responsabilità Sociale d'Impresa). La dottrina afferma che la responsabilità delle azioni che portano alla maturazione del profitto non è esclusiva degli azionisti e/o i soci ma di tutti gli stakeholder portatori di interesse (ad esempio i lavoratori, clienti e fornitori, le organizzazioni sindacali, gli istituti di credito, la pubblica amministrazione, le comunità locali).